Dovessi indicare la prima, immediata impressione che mi ha provocato la visione delle opere della romana Stefania Pinci, farei riferimento al concetto di purezza autentica in antitesi al concetto di impurità, nel senso che sto per esporre.
Viviamo in un’epoca impurissima, non proprio sciaguratamente, che sta teorizzando la purezza nelle forme più variegate, quella di razza come di religione, di credo morale come di alimentazione e di ambiente, anche di arte. è la storia a dircelo, con estrema chiarezza: si tratta di una tendenza degenere, in qualunque sua manifestazione, qualora interpreti la purezza, fanaticamente, come l’unica verità, l’unica strada concepibile.
La purezza diviene in questo contesto un’astrazione culturale, un sogno, un’idea di perfezione forse consona al laboratorio, ma lontana dal mondo vissuto, dove invece vige il contrario. perché la vita stessa é stata e viene continuamente generata dalla mescolanza di fattori difformi da cui derivano ibridi, incroci, capaci di meglio adattarsi alle condizioni ambientali con cui si interagisce, per nulla impeccabili. Il puro, biologicamente debole, é destinato a scomparire. L’impuro, prodotto perfetto della selezione darwiniana, é votato alla sopravvivenza.
Nei dipinti della Pinci, la purezza autentica si ottiene nella primitivista renitenza alla bella forma, nitida, pulita, liscia, per via di una riluttanza forse così fisiologica da non riuscire a sfiorarla neanche quando si avrebbe intenzione di farlo.
Nella materia pittorica, che poi corrisponde in gran parte a quella cromatica, in emulazione di quanto praticato, in prima analisi, dall’Espressionismo post-impressionista, una materia grassa, spessa, feconda, spalmata con la rotondità di gesto e la sana generosità di chi sta imburrando una fetta di pane.
Nel ricorrere a un’imagerie fuori dall’ordinario, dal carattere appunto schietto e autentico, ma personalissimo nel suo aspetto di visionarismo brut, barocco, ma privo di alcun fronzolo, dove tutto vuole rispondere a una franchezza d’animo totale, stabilendo con essa un rapporto quanto più diretto possibile, niente concedendo al- l’intendimento studiato. tanto più Stefania Pinci riesce a immergersi nel mare della vita pulsante, nelle sue sensazioni, negli istinti che stimola, nei suoi odori intensi, tanto più la sua pittura si dimostra capace di intercettare, le energie viscerali in cui poter riconoscere l’essenza alla base del nostro stare al mondo.
Alla fine, con la Pinci, ci si convince di un paradosso: per rappresentare la purezza che emerge per sottrazione dall’impurità della realtà che ci circonda ci vuole uno spirito puro, come appunto lo è l’animo della nostra autrice.